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Archive for the ‘Articole aparute pe internet’ Category

Roma, 12 feb 2009 – Non sono stati i pugni presi sul ring i peggiori che ha dovuto incassare l’ex peso gallo romeno Tiberiu Paul Chiriac. In tredici anni d’Italia, con gli ultimi nove passati esclusivamente nel Bel Paese, dentro e fuori il mondo della boxe, ne ha viste di cotte e di crude e pagato sulla propria pelle il fatto di essere un cittadino di serie B, un romeno. Vittima del razzismo e del mutismo della società. E così a trentasei anni suonati Tiberiu continua a infilarsi i guantoni e a combattere, ma non su di un ring. A meno che non lo piazzino a piazza Montecitorio. Perché è lì, sotto all’obelisco di fronte al Parlamento, che da un paio d’anni staziona Tiberiu. Chiede che almeno la politica faccia qualcosa affinché trionfi la giustizia, che gli siano restituiti se non i soldi almeno l’onore e la dignità che gli sono dovuti e che coloro che gli hanno rovinato l’esistenza paghino. A costo di rimetterci le penne.

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Intorno all’obelisco Tiberiu ha piazzato decine di cartelli, ritratti di Cristo e dei santi, e gigantografie di pagine di giornali che hanno raccontato la sua storia, come il ‘Corriere della Sera’, ‘Il Tempo’ e la ‘Gazeta Romaneasca’, free press per i ‘romeni de Roma’. Perfino su You Tube c’è un filmato con una sua intervista rilasciata l’estate scorsa. In pochi mesi da allora sembra sia invecchiato di dieci anni.”Non c’è solo Calciopoli, la mafia è dappertutto”, dice Tiberiu raddoppiando tutte le consonanti come fanno i sardi. Lui che col suo metro e sessanta nemmeno, e la sua tigna, sardo lo sembra per davvero. „Non sono qui per soldi – prosegue – ma perché voglio giustizia. Voglio che ciò che è successo a me non capiti ad altri, romeni o polacchi che siano. In Italia sono stato sfruttato, trattato come uno schiavo. Ho combattuto incontri accomodati senza che ne sapessi niente e per quelli non sono stato nemmeno pagato. Per campare ho lavorato nell’edilizia e combattuto centinaia d’incontri, col pubblico e senza…”.

La prima volta di Tiberiu Paul Chiriac in Italia risale al ’96 quando un manager italiano gli organizzò un incontro. Tiberiu non era un novellino nonostante avesse 23 anni e aveva già combattuto in Francia e Bulgaria. Da allora fino al 2000 disputò una decina d’incontri nello Stivale, match che, dice Tiberiu, vennero accomodati. „O perdevo ai punti oppure gli arbitri fermavano il match prima del gong dando la vittoria al mio avversario per ko tecnico anche quando non m’ero fatto niente e stavo ancora bene in piedi. E dagli organizzatori non ho mai ricevuto una lira”. Tiberiu voleva già all’epoca che tutti i filmati disponibili venissero visionati, per questo era andato a raccontare la sua storia prima a polizia, carabinieri e Guardia di finanza, poi alle Procure di Roma e Perugia e infine al Coni. Ma nessuno gli aveva dato retta. Anzi. „Invece di fare giustizia – racconta – mi hanno pure tolto il permesso di soggiorno. Pensa che nel novembre del 2000 venni premiato dal mitico Nino Benvenuti, ed ero già un clandestino”.

Dal 2000 Tiberiu fa tappa fissa in Italia. Nonostante fosse un clandestino partecipava a molti incontri, alcuni ufficiali; in altri invece faceva da sparring partner a pugili ancora da svezzare. Di altri non ne parla. Ma i soldi che girano nel pugilato sono pochi, anche per i „primattori”, figurarsi per „le comparse”. Così per sbarcare il lunario andò a lavorare in cantiere, come facevano (e fanno) un po’ tutti i romeni approdati sulla Penisola. Tutto in nero naturalmente e per di più trattato come uno schiavo, un paria. „Spero sempre che qualcuno si interessi alla mia causa e per questo mi aiuti”. Ora, l’aiuto Tiberiu lo cerca in quei romeni che in Italia hanno fatto fortuna, come i calciatori Mutu e Chivu. „Adrian Mutu e Christian Chivu aiutatemi a sconfiggere il razzismo nello sport”, ha scritto in uno dei cartelli. Di Ramona Badescu (che lavora fianco a fianco col sindaco Alemanno) invece non vuol sentir parlare: „Lei non ci rappresenta (a noi romeni) e dunque non può parlare per noi. Che ne sa dei nostri problemi?”.

Tiberiu oggi non è più un pugile. „Sono vecchio”, dice. Piazza Montecitorio è il posto che assomiglia di più a casa. Qui, tutti lo conoscono, sanno qual è la sua situazione e perché lotta. Forse per questo suscita simpatia. Un signore in livrea gli chiede se vuole un caffè. Tiberiu, cortesemente, rifiuta l’invito. Ha da fare gli dice, deve mettere a posto i cartelli e infilarsi la maglietta per la foto. „È la mia maglietta, sai, l’ho fatta fare apposta. Eccola”. La mostra. C’è disegnata una colomba bianca con una freccia infilata nel cuore, il rosso vivo del sangue che cola. Sopra, la scritta: „uccidetemi”, a caratteri cubitali. „Una volta – dice – hanno provato a portarmi via di qui con la forza. Io allora ho preso la tanica di benzina che avevo e ho fatto il gesto di darmi fuoco. Vuoi sapere se lo avrei fatto?”. Silenzio. „Sì”.

Sursa: Meteco Metropolitano
http://metecometropolitano.blogspot.com/2009/04/il-pugile-romeno-che-combatte-in-piazza.html

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Tiberiu Chiriac c’ha la faccia scura e lui nell’élite dei perdenti, quelli da una piotta a round, non c’è mai entrato. L’hanno pescato al mercato dell’est, in quel discount neoliberista che da svariati anni è un album di figurine buono per ogni esigenza. Qualcuno, come Alexandru Manea, 50 match tutti regolarmente persi con 10 ko imbertati sul groppone, s’è già “fatto un nome” come dice Nando “e a modo suo sta all’auge”. Qualcun altro, invisibile e ignoto pure alle cronache sportive del bar sotto casa, un nome non ce l’ha mai avuto. Però Tiberiu adesso un paio di titoli in cronaca ha imparato a spizzicarli. Svoltato l’angolo di palazzo Wedekind, sotto Monte Citorio, la sua faccia scura è infatti facile incontrarla incorniciata tra una ringhiera e un paio di scritte a tatzebao col pennarello nero. Lo vedi spesso ben riconoscibile in piazza, in mezzo ai presidi di manifestazioni autoconvocate, schierato tra allevatori padani incazzati per le quote latte o circondato da bandiere Cub e Cobas, oltre la linea segnata dall’obelisco e dai poliziotti schierati a barriera. Scrive cartelli, s’incatena, denuncia mafie e manda messaggi anche a Mutu e Chivu. Ha deciso di farsi visibile per conto dei tanti senza volto. Ma anche per la giusta causa dei suoi soldi che, sostiene, non ha mai visto.
Quando mi capita di incrociarlo, mischiato ad una protesta di precari a caccia d’impiego assieme a pubblici dipendenti in fuga da esso, è al terzo giorno di sciopero della fame, il naso schiacciato tra orbite più marcate dal deficit dei carboidrati, alquanto fomentato però dall’agitazione dei sindacati di base. „No alla Mafia nello sport Boxe” strilla un suo cartello. „No allo sfruttamento degli sportivi Romeni. No alla schiavitù al Razzismo” aggiunge su un altro mentre un terzo, „Ambasciatore e Consoli romeni Corrotti”, chiude con tutti i puntini sulle i.

„Toti la negru mi hanno trattato” attacca al gong della chiacchierata „come uno schiavo del ring. Sono arrivato nel 96 in Italia. Dopo tanti anni di dilettante al mio paese con la Prahova Box Ploiesti. Palestra importante Prahova. La più forte di tutta la Romània. Pure Nino Benvenuti conosce”. Peso mosca con forte spirito d’adattamento, flessibile al peso e alle circostanze manco t’avesse studiato l’ultimo saggio di Ichino, Tiberiu prendeva il mestiere del pugile con la serietà dell’underdog patentato ovvero del peone sempre disposto a far fare bella figura al campione che gioca in casa. „Io combattevo per borsa – riprende secco – frega niente di medaglie. Mi hanno chiesto di fare il mosca con Messina e io fatto. Poi bantam a 118 libbre con Mura a Reggio Emilia. Tutto a posto. Con Iodice sono anche salito a superpiuma. Mai detto no”. Undici incontri al 2000 e undici sconfitte. Un cappotto condito da 8 kappao e zero pareggi. Ma non è certo il record immacolato la preoccupazione maggiore di Tiberiu. „Problema vero per me è che soldi promessi non sempre sono arrivati. Contratti bassi da tre quattrocento euro ma il manager uguale mi fregava. E come me altri pugili venuti da Romània. A un certo punto abbiamo pure fatto sciopero. Ci siamo rifiutati di boxare e il Coni ha mandato noi al tribunale sportivo. Una mafia il Coni. Dopo mie denuncie mi hanno tolto permesso di soggiorno e ho girato clandestino per un po’. Ho lavorato mesi come manovale al nella ditta Tramontana a Ceccano. Cinquecento euro per tutto mi hanno dato. Ho passato brutti momenti. Una volta ho rischiato di finire sotto un muro al cantiere. Altra volta quando chiesto la paga mi hanno minacciato con fucile. Ma mia battaglia è per giustizia. Voglio solo quello che mi spetta. Mi hanno detto di parlare con Ramona Badescu che lei lavora con sindaco Alemanno. Ma che ne sa quello dei nostri problemi? Non vedo ora di scappare da Italia. Dopo che ho preso la mia borsa però. Giuro”.

Sursa: L’Altro online
http://altronline.it/node/329

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La faccia scura di Tiberiu Chiriac, svoltato l’angolo di palazzo Wedekind, t’appare incorniciata tra una ringhiera e un paio di scritte a tatzebao col pennarello nero. È giorno di manifestazione autoconvocata e intorno a lui la parte stretta della piazza, oltre la linea segnata dall’obelisco e dai poliziotti schierati a barriera, si riempie di bandiere Cub Rdb o Cobas. Lo gnomone d’Augusto ha l’ombra puntata sul parlamento quando un migliaio, tra precari a caccia d’impiego e pubblici dipendenti in fuga da esso, si piazzano con striscioni e megafoni in direzione di Monte Citorio.

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Al terzo giorno di sciopero della fame, il naso schiacciato del romeno, non dà segni di sfinimento e quell’agitazione fomentata dai sindacati di base lo ingarella alquanto. „No alla Mafia nello sport Boxe” strilla un suo cartello. „No allo sfruttamento degli sportivi Romeni. No alla schiavitù al Razzismo” aggiunge su un altro mentre l’ultimo, „Ambasciatore e Consoli romeni Corrotti”, lo chiude con tutti i puntini sulle i.
„Toti la negru” attacca al gong della chiacchierata „mi hanno trattato come uno schiavo del ring. Sono arrivato nel 96 in Italia. Professionista dopo tanti anni di dilettante al mio paese con la Prahova Box Ploiesti. Palestra importante Prahova. La più forte di tutta la Romània. Pure Nino Benvenuti conosce”. Peso mosca con forte spirito d’adattamento, flessibile al peso e alle circostanze manco t’avesse sottoscritto l’ultimo saggio di Ichino, Tiberiu prende il mestiere del pugile con la serietà dell’underdog patentato, del loser buono per ogni match, sparring peone sempre disposto a far fare bella figura al campione che gioca in casa. „Io combatto per borsa – riprende secco – frega niente di medaglie. Mi hanno chiesto di fare il mosca con Messina e io fatto. Poi bantam a 118 libbre con Mura a Reggio Emilia. Tutto a posto. Con Iodice sono anche salito a superpiuma. Mai detto no”. Undici incontri al 2000: undici sconfitte. Un cappotto condito da 8 kappao e zero pareggi. Ma non è certo il record immacolato la preoccupazione maggiore di Tiberiu. „Problema vero per me è che soldi promessi non sempre sono arrivati. Contratti bassi da tre quattrocento euro ma il manager uguale mi fregava. E come me altri pugili venuti da Romània. A un certo punto abbiamo pure fatto sciopero. Ci siamo rifiutati di boxare e il Coni ha mandato noi al tribunale sportivo. Una mafia il Coni. Dopo mie denuncie mi hanno tolto permesso di soggiorno e ho girato clandestino per un po’. Ho lavorato mesi come operaio al cantiere a Ceccano. Cinquecento euro per tutto mi hanno dato. Ho passato brutti momenti. Mi hanno minacciato con fucile ma mia battaglia è per giustizia. Voglio solo quello che mi spetta. E non vedo ora di scappare da Italia. Giuro”.

Sursa: l’Altro Online
http://altronline.it/node/329

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Qualche giorno fa verso le tre del pomeriggio, mentre camminavo per raggiungere la redazione, ho notato per la prima volta un tipo ‘strano’ sotto all’obelisco di piazza Montecitorio. Raramente faccio quella strada perché il giro è un po’ più lungo per me che scendo da via del Tritone e devo raggiungere piazza di Pietra. Ma quel dì avevo una mezz’oretta buona da spendere e per di più, cosa strana da un po’ di mesi a questa parte, non pioveva. Anzi c’era pure un timido sole che non faceva altro che aumentare l’umidità nell’aria, rendendo il clima simile a quello che ci dev’essere a maggio luglio nei Paesi tropicali. Faceva caldo, dunque, e sotto il cappotto pesante ero madido di sudore. Insomma, passando ho visto un tipo tutto imbacuccato peggio di me, basso e tarchiato, che se ne stava sotto all’obelisco di fronte al Parlamento a fissare, raddrizzare o ad appendere cartelloni, foto di santi e gigantografie di giornali. Un po’ per riposarmi dalla camminata e un po’ per curiosità ho dato un’occhiata di sottecchi, poi mi sono piazzato davanti a quei manifesti e letto quegli slogan. „Contro il razzismo nel pugilato”, „Mutu e Chivu aiutatemi a sconfiggere il razzismo nello sport”, etc. Dunque, quel tipo alto nemmeno un metro e sessanta si era piazzato lì per protestare ma, nonostante le scritte a caratteri cubitali, non capivo il perché di tutto quell’ambaradan né con chi ce l’avesse di preciso, né se fosse solo un matto col suo piccolo cabotaggio come ce ne sono tanti in giro oppure qualcuno con un’idea ben precisa, un obiettivo da raggiungere.

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Glielo chiedo o non glielo chiedo?, mi sono domandato, non tanto perché avessi delle remore quanto perché c’è sempre il rischio che personaggi del genere attacchino ‘pipponi’ a non finire. Alla fine non ce l’ho fatta a farmi i cazzi miei, e la cosa ha dato i suoi frutti: da quella chiacchierata ne è venuto fuori un articolo che hanno pubblicato qualche giorno dopo sul sito Lungotevere.Net.

Il tema è la boxe, il razzismo e la mafia che vi circola. Dunque, no-calcio. Credo però che l’esperienza di questo ex pugile romeno valga un po’ per tutto gli sport minori in Italia. Insomma: credo che possa interessare anche voi affezionati lettori de Laleggendadelcalcio.

Il pugile romeno che combatte in piazza Montecitorio

Roma, 12 feb 2009 – Non sono stati i pugni presi sul ring i peggiori che ha dovuto incassare l’ex peso gallo romeno Tiberiu Paul Chiriac. In tredici anni d’Italia, con gli ultimi nove passati esclusivamente nel Bel Paese, dentro e fuori il mondo della boxe, ne ha viste di cotte e di crude e pagato sulla propria pelle il fatto di essere un cittadino di serie B, un romeno. Vittima del razzismo e del mutismo della società. E così a trentasei anni suonati Tiberiu continua a infilarsi i guantoni e a combattere ma non su di un ring, a meno che non piazzino il quadrato a piazza Montecitorio. Perché è lì, sotto all’obelisco di fronte al Parlamento, che da un paio d’anni staziona Tiberiu. Chiede che almeno la politica faccia qualcosa affinché trionfi la giustizia, che gli siano restituiti se non i soldi almeno l’onore e la dignità che gli sono dovuti e che coloro che gli hanno rovinato l’esistenza paghino. A costo di rimetterci le penne.

Intorno all’obelisco Tiberiu ha piazzato decine di cartelli, ritratti di Cristo e dei santi, e gigantografie di pagine di giornali che hanno raccontato la sua storia, come il ‘Corriere della Sera’, ‘Il Tempo’ e la ‘Gazeta Romaneasca’, free press per i ‘romeni de Roma’. Perfino su You Tube c’è un filmato con una sua intervista rilasciata l’estate scorsa. In pochi mesi da allora sembra sia invecchiato di dieci anni. „Non c’è solo Calciopoli, la mafia è dappertutto”, dice Tiberiu raddoppiando tutte le consonanti come fanno i sardi. Lui che col suo metro e sessanta nemmeno, e la sua tigna, sardo lo sembra per davvero. „Non sono qui per soldi – prosegue – ma perché voglio giustizia. Voglio che ciò che è successo a me non capiti ad altri, romeni o polacchi che siano. In Italia sono stato sfruttato, trattato come uno schiavo. Ho combattuto incontri accomodati senza che ne sapessi niente e per quelli non sono stato nemmeno pagato. Per campare ho lavorato nell’edilizia e combattuto centinaia d’incontri, col pubblico e senza…”.

La prima volta di Tiberiu Paul Chiriac in Italia risale al ’96 quando un manager italiano gli organizzò un incontro. Tiberiu non era un novellino nonostante avesse 23 anni e aveva già combattuto in Francia e Bulgaria. Da allora fino al 2000 disputò una decina d’incontri nello Stivale, match che, dice Tiberiu, vennero accomodati. „O perdevo ai punti oppure gli arbitri fermavano il match prima del gong dando la vittoria al mio avversario per ko tecnico anche quando non m’ero fatto niente e stavo ancora bene in piedi. E dagli organizzatori non ho mai ricevuto una lira”. Tiberiu voleva già all’epoca che tutti i filmati disponibili venissero visionati, per questo era andato a raccontare la sua storia prima a polizia, carabinieri e Guardia di finanza, poi alle Procure di Roma e Perugia e infine al Coni. Ma nessuno gli aveva dato retta. Anzi. „Invece di fare giustizia – racconta – mi hanno pure tolto il permesso di soggiorno. Pensa che nel novembre del 2000 venni premiato dal mitico Nino Benvenuti, ed ero già un clandestino”.

Dal 2000 Tiberiu fa tappa fissa in Italia. Nonostante fosse un clandestino partecipava a molti incontri, alcuni ufficiali; in altri invece faceva da sparring partner a pugili ancora da svezzare. Di altri non ne parla. Ma i soldi che girano nel pugilato sono pochi, anche per i „primattori”, figurarsi per „le comparse”. Così per sbarcare il lunario andò a lavorare in cantiere, come facevano (e fanno) un po’ tutti i romeni approdati sulla Penisola. Tutto in nero naturalmente e per di più trattato come uno schiavo, un paria. „Spero sempre che qualcuno si interessi alla mia causa e per questo mi aiuti”. Ora, l’aiuto Tiberiu lo cerca in quei romeni che in Italia hanno fatto fortuna, come i calciatori Mutu e Chivu. „Adrian Mutu e Christian Chivu aiutatemi a sconfiggere il razzismo nello sport”, ha scritto in uno dei cartelli. Di Ramona Badescu (che lavora fianco a fianco col sindaco Alemanno) invece non vuol sentir parlare: „Lei non ci rappresenta (a noi romeni) e dunque non può parlare per noi. Che ne sa dei nostri problemi?”.

Tiberiu oggi non è più un pugile. „Sono vecchio”, dice. Piazza Montecitorio è il posto che assomiglia di più a casa. Qui, tutti lo conoscono, sanno qual è la sua situazione e perché lotta. Forse per questo suscita simpatia. Un signore in livrea gli chiede se vuole un caffè. Tiberiu, cortesemente, rifiuta l’invito. Ha da fare gli dice, deve mettere a posto i cartelli e infilarsi la maglietta per la foto. „È la mia maglietta, sai, l’ho fatta fare apposta. Eccola”. La mostra. C’è disegnata una colomba bianca con una freccia infilata nel cuore, il rosso vivo del sangue che cola. Sopra, la scritta: „uccidetemi”, a caratteri cubitali. „Una volta – dice – hanno provato a portarmi via di qui con la forza. Io allora ho preso la tanica di benzina che avevo e ho fatto il gesto di darmi fuoco. Vuoi sapere se lo avrei fatto?”. Silenzio. „Sì”.

Sursa: La leggenda del calcio, online
http://laleggendadelcalcio.blogspot.com/2009/02/le-molte-facce-del-razzismo-nel-sport.html

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